La Sila, nuovo territorio gourmand
Candidato a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco il parco della Sila è un’eccezione paesaggistica e anche gastronomica. Ecco dove fermarsi
Per gli antichi romani era la Magna Silva, il “bosco grande”, il bosco per eccellenza. Per lo scrittore e viaggiatore inglese Norman Douglas una Scozia mediterranea senza le sfumature violacee dell’erica e per Guido Piovene un «paradosso paesaggistico», angolo di Scandinavia con i pini più alti e snelli degli abeti. È la Sila, il venerando altopiano che nei secoli fornì legni pregiati per le galee romane, il tetto della primitiva basilica di San Pietro e il bottino di guerra degli anglo-americani dopo la liberazione d’Italia.
Oggi nella tentative list dell’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, il Parco Nazionale della Sila è scrigno di tesori forestali – i Giganti di Fallistro, pini neri ultrasecolari che svettano fino a 45 metri di altezza – e gastronomici. Funghi, castagne e delizie quasi tutte DOP e IGP: patata silana, caciocavallo di latte vaccino dall’inconfondibile forma a pera, carne di vacca podolica, salsicce di suino nero di Calabria e altri salumi feticcio quali capocollo, pancetta, soppressata.
Meglio sedersi a tavola prima o dopo una camminata tra gli 80 sentieri del parco, ripristinati insieme al CAI ed estesi per 700 chilometri tra foreste, pascoli, specchi d’acqua e quei bacini artificiali, creati un secolo fa per la produzione di energia idroelettrica, ora perfettamente integrati nel paesaggio. Come l’Arvo, da cui arriva la trota salmonata, vanto della trattoria Lorichella (tel. 0984 537123), e dove affaccia la migliore griglieria dell’altopiano, Il Brillo parlante, chalet stile alpino tempio delle bistecche di vitello silano alla brace, servite con porcini o patate ‘mpacchiuse, tagliate a rondelle, cotte in poco olio e saltate con cipolla. Una bontà.
Poco lontano, per un dolce souvenir da portare via, ecco le marmellate fatte in casa a base di frutti selvatici delle Delizie di Marianna. Indirizzo affiliato al circuito Fattorie Aperte, che riunisce artigiani del buon gusto e aziende agricole con cucina. Una è la Fattoria Biò a conduzione biologica, gestita dalla quarta generazione di pastori che effettua ancora la transumanza dalla Sila al mare: 55 chilometri a piedi due volte l’anno, gennaio e giugno.
Qui siamo nella piccola capitale dell’altopiano, Camigliatello Silano. Dove sono d’obbligo almeno altre due soste della gola. Barrese, dinastia di maestri nella produzione artigianale di salumi, conserve, confetture, e la Tavernetta dell’hotel San Lorenzo si Alberga. Una tavola ben nota ai gourmet, dove Pietro Lecce, oggi col figlio Emanuele, ha trasformato i piatti feticcio della tradizione in alta cucina, servita in ambienti dal design pulito fino all’ascetismo.
Pezzi di antiquariato e stampe inglesi, invece, a Torre Camigliati, bed and breakfast di charme fuori Camigliatello, in una settecentesca residenza baronale, sede del parco letterario Old Calabria, invito alla scoperta del territorio nei luoghi del Grand Tour. L’antica vaccheria ospita La Nave della Sila, museo narrante dell’emigrazione a cura del giornalista e scrittore Gian Antonio Stella.
Ultima tappa, ai confini del parco, San Giovanni in Fiore. Dove fermarsi per l’imponente, romanica Abbazia Florense, cuore nel XII secolo dell’infiammata predicazione di Gioacchino da Fiore, e per Hyle, recente progetto dello chef Antonio Biafora. Che dà nuovo slancio ai sapori della montagna silana, reinventando tradizioni e ingredienti in un’etica di scambio col territorio basata sulla sostenibilità.